giovedì 21 gennaio 2021

 

1942 DICEMBRE - MESKOFF E CERKOWO Sacrificio e Gloria, ONORE E MORTE: Bersagliere ha cento Penne.



In Memoria del Caporale Maggiore NOVELLO EDENZIO Reggimento Bersaglieri -  DISPERSO nei tragici giorni di Meskoff 19 dicembre 1942


 Edenzio è un giovane di 20 anni, nato a Schiavon (VI) l’8 aprile 1922, vive Peveranza con la famiglia arrivata sul finire degli anni 30 causa migrazione; come molti proviene dalle terre venete, il padre subisce il richiamo di amici (molte famiglie native di Schiavon risiedono in Peveranza), che segnalano come queste zone siano da considerarsi ideali per iniziare una nuova vita ed aver così la possibilità di riscattarsi dalla povertà, e qui si insediano con lui giungono i fratelli Attilio, Margherita, Antonio e Virginio.

Non sfugge alla logica del periodo e viene arruolato in arme presso il 3° reggimento bersaglieri e dopo l’addestramento parte.

Le poche tracce che ci raccontano di lui sono scritte nella Voce del Parroco, sappiamo che è in licenza nell’agosto del 1942: Edenzio è a casa e ha l’onore di portare il baldacchino nuovo, lui ed altri cinque soldati (Mascheroni Angelo, silurista in divisa di marinaio per la marina; Battistella Pietro in divisa di aviatore per l’aviazione; Tresoldi Massimo per il genio pontieri; Colombo Carlo e Saporiti Lorenzo per la fanteria) hanno il compito di condurre lungo le vie del Paese, il sacro Drappo testè voluto dal Don Giovanni. Affiancato da altri militi, facevano da padrino tenendo un nastro tricolore il mutilato Cap. Bonato Primo e Montalbetti Eugenio La Madrina era la vedova del Soldato Gaetano Cattaneo Morto in Grecia il 19 aprile 1941.

Nell’Ottobre 1942 Scrive al Don Giovanni (ma non abbiamo copia della lettera) e lo Stesso signor Curato comunicava alla popolazione dei suoi soldati: “ Finora tutti bene, parecchi dei nostri però si trovano in combattimenti in Russia ed in Africa, ultima notizia certa è data al Don Giovanni nel Novembre 1942, una lettera di poche parole che contiene l’amarezza del momento e lo stato in cui trova quella povera gente: «vivono in capanne fatte di letame di mucca, vi si sente un odore che non vi si può entrare». Poi l’oblio.

 

Era alla data della battaglia di Meskoff  Caporale Maggiore del 3° Reggimento Bersaglieri.

 

Nessuno conosce la storia del 3° reggimento Bersaglieri? del suo sacrificio in Russia? Del suo annientamento nel dicembre del 1942? Il racconto delle vicende è riassunto in molti libri di memorie dai quali ho preso stralci, che ci faranno capire, in quale spirale di sofferenza e di violenza si ritrovarono i nostri ragazzi, racconto delle loro gesta, attraverso la voce dei sopravvissuti, rivivendo quei terribili giorni per ricordare Edenzio, partito e mai tornato, del quale la terra Russa conserva i suoi umani resti, a noi il compito di non dimenticare:

«Furono mandati in 230mila, a invadere la Russia, per dar lustro a Mussolini, che voleva condividere con Hitler la “crociata” contro il comunismo sovietico. Con l’arrivo del 1942-43 la spedizione dell’armata italiana in Russia si trasformò in una immane tragedia, la peggiore dell’intera guerra. (1) ».

«Il Terzo Reggimento ebbe la sventura di essere abbandonato al suo destino nei fatidici giorni del dicembre 1942, sconvolti dallo sfondamento sovietico sulla riva occidentale del fiume Don e dal caos generatosi in virtù di ciò, accompagnato da notevoli difficoltà logistiche – ordini tardivi, mancanza di collegamenti, di carburante, di mezzi – e dalle ulteriori difficoltà causate dal gelo e dalla neve. La marcia del Terzo, ignaro della grave evoluzione che era in atto, fu strozzata sulla collina di Meshkovskaya, davanti ad un campanile in fiamme che divenne l’emblema della battaglia. Impossibilitati ad aprirsi un varco verso la salvezza, bersaglieri, fanti e artiglieri che componevano la colonna del Terzo Reggimento in ripiegamento dalla prima linea combatterono e furono costretti ad arrendersi il mattino del 21 dicembre 1942. Le prime testimonianze giunsero al rientro dei pochi superstiti dalla prigionia, circa quattro anni dopo gli eventi narrati(2)».

I dettagli che seguono sono presi dal volume sulle operazioni delle Unità italiane al Fronte Russo, a cura USSME (Ufficio Storico - Stato Maggiore dell'Esercito).

Si sottolinea che la Divisione Celere era rinforzata dalla Legione Croata, che si trovava sulla sua sinistra (a contatto con la Divisione Torino). La supportavano, inoltre (visto l'ampio tratto di fronte da difendere), altri reparti: il XXVI Battaglione Mortai (meno una Compagnia) della Divisione Torino, una Compagnia del CIV Battaglione Mitraglieri, il LXXIII Gruppo misto del 9° Raggruppamento Artiglieria d'Armata.
Alle sette di mattina del 17 dicembre la Celere venne investita con violenza nel punto di sutura tra il VI e il XIII Battaglione (6° Reggimento Bersaglieri).

Gli avversari riuscirono ad aprirsi un varco nel settore del 6° Reggimento. Alcuni reparti tedeschi di consistenza del tutto insufficiente vennero dirottati in zona per contenere la penetrazione sovietica nella valle del fiume Tihaja.

Il 18 dicembre i Sovietici attaccarono alle tre di mattina nel punto di congiunzione tra la Torino e la Celere, mentre aerei avversari bombardarono Meškov, sede del Comando divisionale della Celere.
Ricominciò verso le sette di mattina anche l'attacco nel settore del 6° Reggimento, al fine di estendere la falla, aggirare la destra del 3° Reggimento Bersaglieri e raggiungere Meškov.
Per supportare l'ala destra della Divisione entrò in azione un gruppo di intervento della Divisione Sforzesca, che subì per tutto il giorno il contrattacco sovietico.

Il 19 dicembre - non essendo giunti i previsti rinforzi - la Celere cercò di contrattaccare, ma gli avversari attaccarono a loro volta - sia sul fronte del 6°, sia su quello del 3° Reggimento - vanificando ogni sforzo.

Alle dieci di quel 19 dicembre il 3° Bersaglieri era ancora in linea sul Don, tenendo le proprie posizioni, nonostante la pressione esercitata dai Sovietici sul proprio settore di fronte e il pericolo di aggiramento.

Anche Meškov, ormai, era minacciata.

Alle 14.00 il Comando del XXIX Corpo d'Armata (da cui, come si è detto, dipendeva anche la Celere) diede ordine a tutte le Unità di ripiegare sul fiume Tihaja, per disporsi a difesa su una linea più arretrata.

Tale ordine avrebbe dovuto raggiungere il 3° Reggimento Bersaglieri tramite il Comando della Divisione Torino... in quanto il Reggimento si trovava isolato dal resto della Divisione Celere.
Nel pomeriggio del 19 dicembre i Sovietici raggiunsero Meškov, e annientarono gran parte dei Servizi divisionali ivi dislocati.

I reparti corazzati avversari minacciavano le retrovie dell'intero settore e, causa il rapido evolversi della situazione, il Comando del XXIX Corpo d'Armata - alle 24.00 del 19.12 - diede altre disposizioni: occorreva non più fermarsi al fiume Tihaja, ma proseguire verso sud, in direzione di Kašary. Dopo quest'ultimo comunicato, i collegamenti con il Comando del XXIX CdA si interruppero.

Per tutto il 20 dicembre non fu possibile collegarsi con il 3° Reggimento Bersaglieri, con la Legione Croata, con il 120° Reggimento Artiglieria (della Celere), né con i rinforzi assegnati a tali reparti.
Oggi sappiamo che il 3° Bersaglieri, la Legione Croata e i loro rinforzi non riuscirono a superare Meškov, già in mano sovietica e fortemente presidiata. Insieme alla Legione Croata andarono all'attacco il XX e il XVIII Battaglione Bersaglieri, nel tentativo di scacciare gli avversari e aprirsi la strada.
Nella notte tra il 20 e il 21 dicembre - per non rimanere all'addiaccio - la colonna ripiegò su Kalmikov.
All'alba del 21 il Comando del 3° Bersaglieri cercò di organizzare la difesa nella località suddetta, ma i reparti vennero attaccati da est e da sud da formazioni consistenti di fanteria, supportate da mortai e artiglieria di piccolo calibro.

Quanti - del 3°, della Legione Croata e degli altri reparti presenti - sopravvissero agli scontri, furono catturati. I superstiti dalla prigionia furono pochissimi.

I resti della Divisione Celere (parte del 120° Reggimento Artiglieria e il 6° Reggimento Bersaglieri) ripiegarono seguendo l'itinerario del cosiddetto Blocco Sud.

 

A Lui si addice il titolo del Libro che racconta le vicende del 3° Bersaglieri, e a lui vada il nostro ricordo, Non dimentichiamolo, non dimentichiamo chi era: un giovane ventenne che ha sacrificato la sua vita nelle lande fredde e desolate della steppa russa.

 

Lascio a Mario Rigoni Stern il commiato:

«Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò addosso le sue settantadue bombarde».



 Che la Terra ti sia Lieve, Caporale Maggiore Novello.

 

Grazie ai gruppi FB dedicati all’ARMIR che mi hanno fornito dati e indicazioni.

 Grazie a Enia Amministratrice del gruppo FB ARMIR Il Ritorno dall'Oblio

https://www.facebook.com/groups/207957933152499/

.

Grazie a Giovanni di Girolamo autore del libro e della pagina FB Prigionieri della Steppa che mi ha fornito molte informazioni sul 3° Bersaglieri,
https://www.facebook.com/prigionieridellasteppa/
La foto proviene dal gruppo FB ARMIR, Sulle tracce di un esercito perduto di Pino Scaccia.
https://www.facebook.com/groups/131825423632105/?fref=ts

martedì 12 gennaio 2021

 E PER TOMBA IL MARE.



Chi era Camillo Grazioli? Anzi chi era il Dante Grazioli del quale troviamo evidenza sulla lapide dei caduti?
Bene, ripartiamo dalla famiglia (e qui devo dire grazie all’Ufficio Anagrafe/Stato Civile del Comune di Rodigo – MN -, nella persona del Dott. Gattazzo, che proprio oggi ha dipanato la matassa facendomi mettere ordine e fornendomi dati certi sulle anagrafiche della famiglia Grazioli).
Ho ricevuto conferma della bontà delle mie prime ricerche, completandola oggi: La primogenita è la figlia Grazioli Pierina (nata a Castellucchio) che nasce nel 1908, segue Fiore nato a Castellucchio e non a Villanova (come erroneamente ho scritto) nel 1913, Ottavio nato a Lonato nel 1919 e infine Camillo nato a Rodigo nel 1923, il padre era Gioacchino Grazioli e la madre Viani Virginia.
-------------------------------------------------------------------------
E qui risolviamo il primo Mistero: il nome DANTE sulla lapide.



Dopo ricerche nei siti del Ministero della Difesa, dei Caduti della seconda guerra, dei documenti testè arrivati dal Comune di Rodigo e di quelli in possesso degli eredi abbiamo appurato come Camillo e Dante fossero la stessa persona!
Questo con grande sorpresa di tutti!
Potete immaginare il Dante che faccia abbia fatto…. e lo stesso dicasi per l’Alfa e il Gaetano, (dalle mani di Alfa ho ricevuto un documento ritrovato nei cassetti e che chiaramente identifica Camillo come figlio della signora Viani Virginia madre di Ottavio e Fiore): Dante ovvero Camillo, all’anagrafe nasce il 28 gennaio 1923 in quel di Rodigo, provincia di Mantova e sin da piccolo viene chiamato Dante in famiglia (non sappiamo perché, di sicuro una consolidata tradizione attuata da molte famiglie era quella di registrare i figli con un nome e chiamarli poi per la vita con un altro, generando così molteplici equivoci nei famigliari e negli eredi), tanto da far si da dimenticarsi tutti del vero nome, Camillo (valeva per i fratelli e per la madre Virginia), e suo fratello Ottavio forte della convinzione nel fatto che quello fosse il nome di battesimo, diede il nome al figlio Dante in memoria e i fratelli insieme lo fecero incidere sulla lapide dei caduti di Peveranza quando venne inaugurata nel 1973.
-----------------------------------------------------------------------
il secondo Mistero, delicato come non mai, è quello della sua scomparsa, ovvero la non conoscenza del luogo di sepoltura, perché disperso in mare: nei ricordi dei nipoti vi era fisso il fatto che partì da Taranto e affondò al largo della Sicilia null’altro, frutto questo di memorie dei racconti dei fratelli Fiore e Ottavio. Capite che una così vaga informazione, metteva tutto in discussione, senza dati certi si corre sempre il rischio di creare un equivoco che avrebbe avuto ripercussioni emotive e emozionali importanti.
E comunque su Camillo/Dante c’era da fare una premessa che spiegherebbe come il carattere di una persona forgia il suo futuro.
Sempre secondo i ricordi di suo nipote Dante, il giovanotto era come potremmo dire, molto d’Annunziano, uno spirito libero, non aduso a regole e obblighi, insofferente verso la stanzialità e c’era da capirlo (state voi a servizio degli altri quasi come schiavo), e soprattutto, votato all’avventura, al viaggio.
Aveva in seno una forte contraddizione determinata dalla voglia di viaggiare, di andare oltre i confini, oltre il limite e nello stesso tempo del senso di patria, di orgoglio nazionalista e così nella tarda estate del 1942 coniugò le due cose, andando contro ogni lamentela della madre che già aveva due figli in armi, contro ogni logica essendo egli dispensato dal servizio militare, e nel pieno della giovinezza, all’età di 19 anni (pur avendo ricevuto il libretto di lavoro nel gennaio del 1942) si arruolò come volontario in Marina, sottolineo nella Regia Marina, e (Camillo/Dante non sapeva nemmeno nuotare!) si avviò così verso il suo destino.
Dal racconto dei famigliari come detto (Dante ricorda di come suo padre raccontasse questa vicenda), dopo pochi giorni dall’arruolamento, lo imbarcarono e partì per il suo primo viaggio e qui divergono le strade, quella della memoria porta alle navi nel Mediterraneo oltre Sicilia, quella della cronaca dei registri e dei documenti porta al Tirreno, e in quel fatale giorno del 1942 (la data di morte sulla lapide – 1945 - è a questo punto sbagliata frutto anch’essa di ricordi cronicizzati), la sua vita e quella di altre 250 persone, finirono consegnate al mare.
Partiamo da qui dalla nave, dal luogo d’imbarco e dai motivi bellici per determinare il quadro dei fatti e degli avvenimenti che ci riguardano:
La "Tabarca" era una vecchia nave cannoniera inglese, varata nel 1917, della serie delle "barchette di carta", perché avevano la prua uguale alla poppa nella speranza (vana) di confondere i sommergibili.
La nave, declassata a battello civile e poi requisita dalla Regia Marina, veniva impiegata per collegare la Corsica occupata dagli italiani con il continente. Una guerra oscura, quella delle navi mercantili italiane, vecchie carrette che sfidavano gli agguati dei bombardieri e sottomarini inglesi e l'insidia delle mine per cercare di rifornire i nostri contingenti.

Nel novembre 1942, in seguito agli sbarchi angloamericani nel Nord-Africa francese (Algeria e Marocco) ed al passaggio delle truppe francesi di quei territori, fedeli al governo collaborazionista di Vichy, alla causa Alleata, l'Italia e la Germania decisero di porre fine all'autonomia della Francia di Vichy, occupandone militarmente i territori. Ciò comprese anche l'occupazione, da parte italiana, della Corsica, che avvenne senza colpo ferire, non opponendo le poche truppe francesi ivi presenti alcuna resistenza Una volta assunto il controllo dell'isola, la Marina italiana istituì due Comandi Marina a Bastia e Bonifacio e per questo inizio ad inviare uomini e mezzi lungo la rotta Livorno Bastia.
La Tabarca salpò da Livorno il 30 novembre 1942, insieme ad un piccolo convoglio di altre 6 unità, trasportando oltre duecento tra sottufficiali e marinai che dovevano andare a formare il personale di questi nuovi Comandi: tra questi anche Camillo Grazioli, destinato a Marina Bonifacio.
Complessivamente i quattro trasporti avevano a bordo, probabilmente poco meno di 1500 uomini.
In tutto, contando anche l'equipaggio, a bordo c'erano 237 o 241 uomini di cui 28 d’equipaggio (le fonti divergono sul numero preciso), una parte destinata a Marina di Bastia e una parte destinata a Marina di Bonifacio, nella quasi totalità si trattava di personale della “Regia Marina” assegnata ai nuovi Comandi Marina appena istituiti nella Corsica occupata.
Molti dei marinai provenivano da Venezia, dove erano rimasti per qualche tempo in attesa di nuova destinazione.
Camillo Grazioli compare negli elenchi della Tabarca.
Era marinaio cannoniere.
Purtroppo, mi segnala Lorenzo Colombo(1), negli elenchi vi è indicazione sommaria del "reparto" di provenienza (dicitura alla quale viene indicata la nave su cui era imbarcato od il Comando di terra cui era assegnato) è "non specificato (codice 012)", dicitura che indica l'imbarco generico, possiamo quindi solo dire che nell’elenco caduti non è nominato come membro dell’equipaggio ma come destinato a Marina Bonifacio.
Lasciato Livorno verso le 21.00 del 30, il convoglio puntò a sud, seguendo la rotta di sicurezza (sic!) verso le secche di Vada, prima di affrontare il mare aperto.
Alle 23,54 del 30 novembre 1942 (Supermarina parla delle 00.45 del 1 dicembre), mentre il convoglio doppiava il faro, la Tabarca virò improvvisamente a dritta e subito dopo fu scossa da un’improvvisa esplosione a prua, sul lato sinistro.
Da Bordo della Carini (nave torpediniera di scorta) venne sentito lo scoppio e vista un’alta colonna di fumo levarsi a proravia della Tabarca, dal cui fumaiolo fuoriuscirono vistose scintille, poi la piccola motonave fu inghiottita dal Mare.
Saltò improvvisamente in aria, probabilmente dopo aver urtato una mina, affondando subito e portando con sé quasi tutte le persone che erano a bordo, molte delle quali furono colte alla sprovvista nel sonno (data la tarda ora) trovandosi, questi poveretti, ammassati sottocoperta per dormire non avendo così scampo.
Si salvarono solo alcuni di coloro che erano sul ponte.
La paura dei comandanti delle altre navi di incocciare in altre mine fece si che le ricerche dei naufraghi si ridussero a poco più di un ora, passata la quale, non avendo trovato traccia di superstiti, ripartirono per il porto di Bastia.
La conseguenza fu che nessuno si fermò a cercare e raccogliere i naufraghi che c’erano, eccome se c’erano: alcune decine di uomini rimasero così per tutta la notte nell’acqua gelida di inizio dicembre.
Gli uomini in mare si cercarono al buio, gridando il nome dei compagni, ma l’ipotermia uccise a poco a poco la maggior parte di coloro che erano sopravvissuti all’affondamento.
I primi soccorsi giunsero all’alba, il MAS 556, il caccia-sommergibili ausiliario AS 109 Sant’Alfonso ed il rimorchiatore Italia Nuova raggiunsero il luogo dell'affondamento, ma ormai era troppo tardi: un orrido spettacolo si poneva avanti ai loro occhi, decine di cadaveri galleggiavano insieme a molti zaini neri della marina.
Ci furono solo OTTO SUPERSTITI, Otto uomini in quella distesa di morte. Furono recuperate solo 52 salme (24 secondo altre fonti).
Le altre 233 da allora riposano sul fondo del mare.
Tra i tanti dispersi anche Camillo Grazioli che su questa nave ebbe il suo esordio da soldato e su questa nave trovò la sua morte (certificata e registrata dal Comune di Rodigo in data 30 novembre 1942 con la dicitura ”scomparso in navigazione nel mar Tirreno sul piroscafo Tabarca”).


Abbiamo narrato così di come Camillo divenne Dante e Dante oggi ritorna ad essere Camillo, per la memoria di tutti, per la memoria dei nipoti e per onorarne il ricordo, oggi sappiamo dove riposa.
Segnalo che con Dante Grazioli esperto subacqueo andremo in loco per onorare lo Zio, appena sarà possibile ovvio.
(1) Un enorme GRAZIE va a Lorenzo Colombo autore del BLOG “con la pelle appesa ad un chiodo” dove narra le vicende di uomini e navi che hanno solcato i mari e in esso sono morti, il quale mi ha fornito storia e dati per risalire ai fatti sopra narrati. La storia di questa nave è raccontata con più dettagli in questa pagina:
si può visitare la nave attraverso il sito
Per chi è esperto si può fare un immersione grazie ai dati qui raccolti.
la foto è tratta dal sito divelogos.

 1942/43 - "FAA SAN MARTEN" : I FRATELLI GRAZIOLI

Chi non ha conosciuto i fratelli Grazioli, Fiore e Ottavio? Tutti noi li ricordiamo: due persone gentili, grandi lavoratori, gente silenziosa, operosa. Cosa sappiamo delle loro vicende umane? Poco o niente.
Bene, dovete sapere che la loro famiglia originaria viveva tra le lande della pianura padana tra Brescia e Mantova e seguiva quella che veniva detta la regola di S. Martino, antica tradizione agraria legata ai contratti di mezzadria. Per capirci, il giorno 11 novembre coincideva con la fine dei lavori agricoli e con essa anche la fine dei contratti agrari. Questo per i contadini voleva dire o conferma o trasloco in altra terra, in altro luogo; una vita lenta fatta di fatica e povertà estrema, di arrivi e ripartenze.
Così era per i Grazioli, Fiore, Camillo e Ottavio che con la sorella Pierina nacquero ognuno in un luogo diverso, chi a Lonato, chi a Dorigo, chi a Castellucchio. Morì poi tragicamente il padre in giovane età, e loro vissero così di questa ciclicità e di questi attendimenti infiniti, dove ogni inverno ci si doveva confrontare con la nuova contrattualità, sino a quando non furono arruolati nell’esercito per andare alla guerra di Mussolini lasciando madre e Camillo minorenne soli ad arrangiarsi come meglio potevano..
Con Fiore e Ottavio lontano da casa il terzo figlio ebbe la dispensa dalla vita militare, vista la situazione familiare, ma come sempre anche in questa vicenda umana non tutte le cose andarono come dovevano andare e la vita riservò loro un destino diverso da quello che sino a quel momento gli astri avevano loro assegnato.
Per il momento vi racconterò dei 2 fratelli Fiore e Ottavio, tutti e 2 spediti in Africa e tutti e due coinvolti in vicende di guerra che non raccontarono mai, come è tipico di chi avendo vissuto umane tragedie, non ne vuole parlare.
Sappiamo però che dopo il fatidico 8 settembre Ottavio (padre di Dante Grazioli) fu fatto prigioniero dagli Inglesi e finì nel campo di prigionia di Zonderwater in Sudafrica dove, sopravvissuto alle terribili consegne della carcerazione, lasciato libero dai vincitori inglesi, senza una lira in tasca si ingegnò e si imbarcò verso la fine del 1945 su un cargo per rientrare in Italia, ma, partì per un lungo viaggio, che in realtà lo portò in estremo Oriente, prima in india, poi nelle Americhe e infine nel 1947 finalmente sbarcò in Italia dove, reincontratosi con la famiglia, decise insieme ad essa di venire qui in Peveranza.
Fiore (padre di Alfa moglie del Gaetano Cattaneo) invece, sbandato anch’egli con l’otto settembre, rientrò faticosamente in Italia e si diede alla clandestinità sino alla fine della guerra ricongiungendosi con i suoi come soprascritto.
------------------------------------------------------------------------
Di loro abbiamo qualcosa di unico e raro, una foto che li ritrae a cavallo di una motocicletta Gilera nel deserto africano (non sappiamo in quale data 1942?1943?), in divisa e quindi in arme Ottavio con il classico cappello da Bersagliere e Fiore con le mani nei capelli; un fotogramma che oggi ci consegna per l’eternità questa immagine frutto della casualità e del fato, che vide i loro reparti incrociarsi nello stesso lembo di terra e per pochi giorni li mise uno di fianco all’altro. Poi, il destino, sempre beffardo, li divise, inviandoli lungo il fronte con le conseguenze di cui ho raccontato sopra.



-------------------------------------------------------------------------
Sembrerebbe che la storia finisca qui con un lieto fine, ma non fu così: della sorella sappiamo solo che purtroppo morì giovane e di lei non abbiamo testimonianza dai nipoti se non che era maritata, come detto anche il padre morì giovanissimo ma del 3° fratello, Camillo, cosa sappiamo?
-------------------------------------------------------------------------
Che fine fece Camillo, il terzo maschio di casa esonerato e predestinato al sostentamento della madre? Ma in realtà chi era Camillo e cosa sappiamo di lui? e perché sul monumento ai caduti si trova il nome di un altro Grazioli, Dante? c’era un altro fratello?
-----------------------------------------------------------------------
Dante Grazioli lo conoscete tutti si chiama così in onore dello zio disperso in guerra.
Ma se i fratelli si chiamano Fiore, Ottavio e Camillo, chi è Dante?
-----------------------------------------------------------------------
Ecco che la voglia di dare corpo alla vita di questi uomini mi ha mosso in questa ricerca di notizie e fatti per raccontare di loro e di quanto accadde nei mesi di guerra successivi all’estate del 1942, e qui come sempre la vita ci ha riservato una sorpresa che per la famiglia Grazioli risulta clamorosa e ve ne racconteremo nel prossimo atto di testimonianza.
-----------------------------------------------------------------------
Un grazie infinite alle famiglie Grazioli e Cattaneo per avermi permesso di raccontare e ricostruire le vicende dei loro padri.
Foto Archivio Grazioli-Cattaneo

sabato 9 gennaio 2021

 1941 1942 1943 1944 1945 L'INFERNO E' UN BANALE INCIDENTE DI PERCORSO.

Silvio Cattaneo
nasce in Peveranza nel 1910 e vive una vita tranquilla (sposandosi nel 1940 con l'Anita Belli) sino a quando la Patria lo richiama alle armi, si perchè Lui era già stato in armi, aveva già dato il suo contributo nell'esercito, ma la patria aveva bisogno di lui e il 7 aprile 1941 aveva iniziato il percorso quale soldato nell'esercito e dopo un breve addestramento veniva inviato in Albania.


La guerra non fa sconti a nessuno e dovette combatterla , possiamo immaginare quali furono i momenti vissuti in Grecia e in Albania, ma il peggiore di tutti fu sicuramente quello in cui dovette affrontare la morte del fratello avvenuta per ferite di guerra il 17 aprile, ritornò poco dopo per i lavori agricoli poi ripartì. Nel marzo del 1942 si ritrovò a posare fiori sulla sua tomba in Grecia, e ne avvisò il Don Giovanni inviando una foto che ricordasse quanto accaduto.


Da qui in poi il cammino di guerra divenne un calvario... fu sorpreso, insieme ai suoi commilitoni, in Grecia dalla catastrofe.



L'otto settembre calò sulle loro teste come una mazza di ferro. I Tedeschi avevano deciso di caricare sui carri bestiame tutte le truppe italiane che si trovavano nei loro distretto greco, e così fecero con il Cattaneo e glia altri, un viaggio pazzesco, stipati come animali, arrivarono in germania dopo giorni di sofferenza e di morte, e da li prese il via il suo nuovo inquadramento, lavoratore forzato nelle terre tedesche, era un buon contadino, si! venne messo a lavorare la terra e come una bestia fu trattato: 2 anni così poco cibo, pelli di patate e via, raus! lavoro, maltrattamenti lavoro, maltrattamenti e un giorno la ribellione verso i suoi aguzzini che arrivò quasi a vederlo messo al muro. La provvidenza volle che tutto fini, ci mise parecchio nel ritornare a casa ma ci riuscì.




(archivio Cattaneo Gaetano)