Capitolo LXIX
1869
IL REGNO D’ITALIA
Il riordino dei comuni
Anno di disgrazia e fine di Peveranza come entità
pseudo-autonoma e inizio del calvario come frazione di…..
Con Regio Decreto n. 4921 del 24 febbraio, il Re in
persona (uellà) ci aggrega a Cairate, e con noi Bolladello fa la stessa
fine. Il paragone non regge, ma è da considerarsi come l’annessione del
Lombardo-Veneto al nascente stato sabaudo, l’Italia la si faceva a suon di
annessioni non certo paritarie, ovunque il bel piemontese infliggeva tasse e
tributi per ripagarsi le guerre, ma in realtà per pagarsi la bella vita...[1]
ALTRO CHE VULGATA RISORGIMENTALE…..
Regnava Vittorio Emanuele II e l’Italia muoveva i
primi passi, si doveva riformare lo stato e lo si riformò, i piccoli comuni
come Peveranza, furono accorpati in un amen ad altri e a noi toccò in sorte Cairate,
se a Bolladello l’avevano presa come offesa personale arrivando quasi alla
lotta armata, evocando come meglio collocazione Cassano Magnago in quanto più
affine e più vicina, di quello che dissero i peveranzesi poco o nulla si sa. E
come dar loro torto diremmo noi, ben giustificando la vicenda con una semplice
osservazione incontrovertibile: tutta la nostra terra da secoli aveva come
riferimento la Pieve di Gallarate…. A Peveranza comunque che potevano dire,
eravamo circa 400/500 anime e quindi? Un po’ per forza un po’ per amore se ne
fecero una ragione, ben sapendo che gli altri avrebbero sempre avuto da dire e
da ridire sulle legittime richieste di casa nostra, e soprattutto come la
storia sempre aveva dimostrato, il Beati
gli ultimi, non era riferito a questa terra ma all’altra….. e quindi armandosi
di santa pazienza e di buona volontà ci accingemmo a subire per l’ennesima
volta il dominio vessatorio dei nuovi comunardi cairatesi, che in un amen
iniziarono a replicare l’andazzo solito.
Ma l’Italia si costruiva ogni giorno e il progresso
avanzava! e il Piemontese introdusse
una delle gabelle più odiose che poteva instituire, la Famigerata tassa sul macinato; avendo sperperato
patrimoni intere in guerre e guerricciole ma soprattutto svuotato per i propri
favori personali le casse del Regno e ancor di più quelle degli stati annessi,
il geniale Piemontese con la più che
onorevole scusa dell’ammodernamento del novello Stato e del risanamento delle
esauste casse statali (toh! una storia che non giunge nuova vero?) sempre per
nobili motivi quindi, si prodigò nel colpire chi? Ovviamente il popolo; la “tassa della fame” colpì e fece
traballare l’intero sistema economico minuto, cioè quello delle famiglie rurali
e dei ceti più deboli, ci furono rivolte e moti, si contarono 250 morti almeno
e più di mille feriti, ma allo stato centrale interessava solo una cosa:
appianare debiti contratti da lor signori, a si sempre in “nome del popolo”.
Sicuramente ne risentì anche la nostra amata Peveranza, ma tant’era abituata
alla predazione che superò anche questa.
E così si arrivò alla fatidica data: nell’anno 1870
addì 20 settembre alle cinque, un colpo di cannone diede il via all’epica
battaglia, i soldati del Papa non fecero altro che rimaner passivi e spararono
qualche colpo di schioppetto sul campo rimasero 49 “italiani” e 19 pontifici[2],
si aprì una Breccia in Porta Pia, come in una surreale battaglia pochi e
malcapitati bersaglieri si trovarono al centro della più grande conquista del
novello Regno, e procedettero così all’occupazione di Roma.
1871 il 27
gennaio, Roma Capitale d’Italia.
E Peveranza? Peveranza guarda con apprensione alle
spese che il Parroco Maino si accinge a varare perché impegnato nella più
grande opera che il paese potesse mai costruire: la nuova Chiesa Parrocchiale,
di cui racconteremo a breve.
Ma un’altra tegola si apprestava a cadere sulla
testa dei peveranzesi.
[1]
L.
Del Boca, op. cit. pg. 77. Il
Piemonte si avviava a diventare Italia. Tanto scrupolosi per i conti personali
della famiglia, i politici sembravano assai disattenti quando si trattava dei
bilanci dello Stato, al punto che tasse e prestiti non facevano che
rincorrersi, senza raggiungersi, senza nemmeno avvicinarsi. Nei 34 anni
intercorsi fra la caduta del regno di Napoleone Bonaparte e la Prima guerra di
Indipendenza del 1848 il Piemonte accumulò 135 milioni di debiti. Nei dodici
anni successivi, con il periodo «di preparazione» superò il miliardo:
1.024.970.595 lire.
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