mercoledì 25 settembre 2019


Capitolo XXVI

DEL FEUDO DI GALLARATE
breve libello



Come entrò a far parte del Feudo di Gallarate, non sappiamo, sappiamo solo che come ben evidenziato nella mappa del Bussero, Peveranza era terra di confine con le Pievi di Olgiate e Castelseprio; saldamente ancorata alla terra gallaratese sia sotto il profilo politico che quello religioso, come confermato  dalla presenza prima del de Porris canonico di Gallarate e del Grampa poi Sacerdote originario di Gallarate, che ne attestano l’appartenenza alla Pieve medesima.
Quindi da molto tempo e nonostante i rapporti diretti con il Monastero testimoniato dal documento del 1158 e con Il Castello testimoniato dalla presenza arimanna, il punto di riferimento per i peveranzesi era Gallarate (vedi i De Peveranzo che li emigrano).
Tante e tali sono le vicissitudini del Borgo che basti pensare come divenne ben presto pedina per i giochi delli nobili Milanesi per due secoli, e poi caduta nelle mani della spagna e dei francesi continuò ad esser merce di scambio: prima la vicenda che vedeva il Bentivoglio quale possessore non desiderato del feudo, poi le vicende relative a quanto accadduto  nel 1530 ove il duca Francesco II Sforza ne fece dono a Marino Caracciolo Principe di Avellino!!, poi Cardinale. Ancora il feudo venne scambiato nel 1564 con quello di Atripalda nel regno di Napoli e ceduto a Giacomo Pallavicino Basadonna Nobile Genovese. Dopo la morte di costui senza eredi capaci, il feudo e l’annesso titolo di conte furono assegnati da Filippo II di Spagna a Giacomo Annibale Altemps nel 1578. Nel 1656 il feudo passò ai marchesi Teobaldo e Galeazzo Visconti di Cislago[1].

Secondo voi se né accorto qualcuno a Peveranza di questi “grandi” cambiamenti? Si certo dagli atti in possesso i rappresentanti le comunità, di volta in volta si barcamenarono come noci tra incudini e cercarono in tutti i modi di capire ove era meglio inchinarsi e quando era meglio ritirarsi. Comunque le tasse ai signori si dovevano pagare.

Ricordo che questo è il periodo del racconto degli Italiani cioè i Promessi Sposi, ambientati in una Terra Lombarda soggiogata all’invasore spagnolo il quale non si faceva scrupolo di abusare della sua posizione; lo stesso Carlo Borromeo[2] e i suoi provvedimenti furono ritenuti un pericolo per il primato del re di spagna, il quale reputava di non dover avocare a tutti i privilegi da lui detenuti in ambito religioso. E questo portò ad uno scontro che coinvolse anche e in primis lo Stato della Chiesa lasciando una serie di atriti tra le parti.

 Nonostante l’accordo di “Cateau Cambresis” che sancì una pace apparente, i lombardi rimasero irrequieti e poco avezzi al potere spagnolo brigando per il fallimento delle varie politiche, soprattutto fiscali; come sempre nobili e clero erano alleati nel mantenere quelle immunità che tanta ricchezza avevano loro garantito: i nobili per la loro saccoccia e il clero per (almeno nelle intenzioni) le esigenze della Evangelizzazione…, e la redazione dell’Estimo chiamato di Carlo V redatto nel corso di alcuni anni e attivato nel 1560, mise questi, in grande agitazione, tant’è che per tutto il periodo della presenza spagnola vi fù un inasprimento costante dei carichi fiscali che poco fu accettato da tutti, soprattutto con grande scorno dei ricchi nobili che ne erano rimasti immuni sino ad allora, il popolo lavora e paga e il nobile vola alto nel cielo….

Storia vecchia si dirà, arrivano stranieri e pretendono denari applicando nuove gabelle, il popolo si infuria, figuriamoci poi chi non le ha mai pagate e pretende per diritto di continuare a non farlo…  chiamasi questi privilegi, ma dipende dai punti di vista: quando arriva qualcuno da fuori e ti chiede di pagare e di tacere perché secondo lui il fisco vigente è irrazionale e secondo lui sarà più equo il suo… bè qualche sospetto ti viene.. così tutti fanno… le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e come detto la storia si ripete. 
E Il popolo?
E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam![3]




[2] http://www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/storia/?unita=03.05       Le emanazioni del Borromeo, esplicitate nei sette concili provinciali e negli undici sinodi diocesani, risultarono però inconciliabili con la legislazione laica. I provvedimenti dell'arcivescovo infatti furono ritenuti un pericoloso attacco al primato del re di Spagna, il quale reputava irrinunciabili i propri privilegi in ambito religioso, giuridico e beneficiario e in tal senso si espressero vari giuristi operanti nel Milanese, come Giulio Claro, Iacopo Menochio e Juan Arias de Maldonado. Lo scontro tra le due autorità emerse appieno nel 1569 e coinvolse tutte le istituzioni dello stato di Milano, causando seri attriti tra lo stato della Chiesa e il regno di Spagna.A dispetto delle controversie giurisdizionali, molte riforme caroline presero corpo e modificarono profondamente la struttura della sua diocesi, che risultò infine composta da 6 regioni e 65 pievi, in cui vi erano 2220 chiese secolari, 46 collegiate, 753 parrocchiali, 783 benefici semplici, 631 oratori, 7 collegi per chierici, 136 conventi di vari ordini religiosi, 740 scuole della dottrina cristiana, 886 confraternite, 24 congregazioni e 40 istituti di assistenza.
[3] Enzo Jannacci: Ho visto un Re.


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