Capitolo XXVI
DEL
FEUDO DI GALLARATE
breve
libello
Come entrò a far parte del Feudo di Gallarate, non
sappiamo, sappiamo solo che come ben evidenziato nella mappa del Bussero, Peveranza era
terra di confine con le Pievi di Olgiate e Castelseprio; saldamente ancorata
alla terra gallaratese sia sotto il profilo politico che quello religioso, come
confermato dalla presenza prima del de
Porris canonico di Gallarate e del Grampa poi Sacerdote originario di
Gallarate, che ne attestano l’appartenenza alla Pieve medesima.
Quindi da molto tempo e nonostante i rapporti diretti con il
Monastero testimoniato dal documento del 1158 e con Il Castello testimoniato
dalla presenza arimanna, il punto di riferimento per i peveranzesi era
Gallarate (vedi i De Peveranzo che li emigrano).
Tante e tali sono le vicissitudini del Borgo che basti
pensare come divenne ben presto pedina per i giochi delli nobili Milanesi per due secoli, e poi caduta nelle mani della
spagna e dei francesi continuò ad esser merce di scambio: prima la vicenda che
vedeva il Bentivoglio quale possessore non desiderato del feudo, poi le vicende
relative a quanto accadduto nel 1530 ove
il duca Francesco II Sforza ne fece dono a Marino Caracciolo Principe di
Avellino!!, poi Cardinale. Ancora il feudo venne scambiato nel 1564 con quello
di Atripalda nel regno di Napoli e ceduto a Giacomo Pallavicino Basadonna
Nobile Genovese. Dopo la morte di costui senza eredi capaci, il feudo e
l’annesso titolo di conte furono assegnati da Filippo II di Spagna a Giacomo
Annibale Altemps nel 1578. Nel 1656 il feudo passò ai marchesi Teobaldo e
Galeazzo Visconti di Cislago[1].
Secondo voi se né accorto qualcuno a Peveranza di questi
“grandi” cambiamenti? Si certo dagli atti in possesso i rappresentanti le
comunità, di volta in volta si barcamenarono come noci tra incudini e cercarono
in tutti i modi di capire ove era meglio inchinarsi e quando era meglio
ritirarsi. Comunque le tasse ai signori si dovevano pagare.
Ricordo che questo è il periodo del racconto degli Italiani
cioè i Promessi Sposi, ambientati in una Terra Lombarda soggiogata all’invasore
spagnolo il quale non si faceva scrupolo di abusare della sua posizione; lo
stesso Carlo Borromeo[2]
e i suoi provvedimenti furono ritenuti un pericolo per il primato del re di
spagna, il quale reputava di non dover avocare a tutti i privilegi da lui
detenuti in ambito religioso. E questo portò ad uno scontro che coinvolse anche
e in primis lo Stato della Chiesa lasciando una serie di atriti tra le parti.
Nonostante l’accordo
di “Cateau Cambresis” che sancì una
pace apparente, i lombardi rimasero irrequieti e poco avezzi al potere spagnolo
brigando per il fallimento delle varie politiche, soprattutto fiscali; come
sempre nobili e clero erano alleati nel mantenere quelle immunità che tanta
ricchezza avevano loro garantito: i nobili per la loro saccoccia e il clero per
(almeno nelle intenzioni) le esigenze della Evangelizzazione…, e la redazione
dell’Estimo chiamato di Carlo V redatto nel corso di alcuni anni e attivato nel
1560, mise questi, in grande agitazione, tant’è che per tutto il periodo della
presenza spagnola vi fù un inasprimento costante dei carichi fiscali che poco
fu accettato da tutti, soprattutto con grande scorno dei ricchi nobili che ne
erano rimasti immuni sino ad allora, il popolo lavora e paga e il nobile vola
alto nel cielo….
Storia vecchia si dirà, arrivano stranieri e pretendono denari
applicando nuove gabelle, il popolo si infuria, figuriamoci poi chi non le ha
mai pagate e pretende per diritto di continuare a non farlo… chiamasi questi privilegi, ma dipende dai
punti di vista: quando arriva qualcuno da fuori e ti chiede di pagare e di
tacere perché secondo lui il fisco vigente è irrazionale e secondo lui sarà più
equo il suo… bè qualche sospetto ti viene.. così tutti fanno… le strade
dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e come detto la storia si
ripete.
E Il popolo?
E Il popolo?
E
sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al
ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam![3]
[2] http://www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/storia/?unita=03.05 Le emanazioni del Borromeo,
esplicitate nei sette concili provinciali e negli undici sinodi diocesani,
risultarono però inconciliabili con la legislazione laica. I provvedimenti
dell'arcivescovo infatti furono ritenuti un pericoloso attacco al primato del
re di Spagna, il quale reputava irrinunciabili i propri privilegi in ambito
religioso, giuridico e beneficiario e in tal senso si espressero vari giuristi
operanti nel Milanese, come Giulio Claro, Iacopo Menochio e Juan Arias de
Maldonado. Lo scontro tra le due autorità emerse appieno nel 1569 e coinvolse
tutte le istituzioni dello stato di Milano, causando seri attriti tra lo stato
della Chiesa e il regno di Spagna.A dispetto delle controversie
giurisdizionali, molte riforme caroline presero corpo e modificarono
profondamente la struttura della sua diocesi, che risultò infine composta da 6
regioni e 65 pievi, in cui vi erano 2220 chiese secolari, 46 collegiate, 753
parrocchiali, 783 benefici semplici, 631 oratori, 7 collegi per chierici, 136
conventi di vari ordini religiosi, 740 scuole della dottrina cristiana, 886
confraternite, 24 congregazioni e 40 istituti di assistenza.
[3] Enzo Jannacci:
Ho visto un Re.
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