Capitolo LXVI
TRA
L’AUSTRIA-UNGHERIA E IL REGNO D’ITALIA
Carlo Alberto detto il “Tentenna”, re piemontese, vissuto a
parigi e figlio di un padre possessivo e arrogante, quando vide presentarsi
l’occasione per allargare i confini del suo Piemont, per depredare perché
questa è la verità, la ricca landa lombarda ben amministrata dagli austriaci,
si decise a muovere verso il Ticino: Le nostre armi, proclamò Carlo
Alberto al momento di mettersi in marcia, vengono a porgervi quell'aiuto che il
fratello aspetta dal fratello.[1]
Circondato da Ufficiali Incapaci e arruffoni
vinse, le battaglie che doveva vincere, con il sangue e con la carne dei
soldati scrisse la storia della prima guerra risorgimentale, arrivando alla
battaglia di Custoza del 23,24 e 25 luglio, esempio aulico dell’inettitudine
degli ufficiali piemontesi, impreparato e disorganizzato, la perse e si
squagliò come neve al sole.
Decise come conseguenza di ritirarsi vigliaccamente,
in barba al tanto proclamato spirito unitario riconsegnando di fatto Milano al
Radetzky, in cambio dell’assicurazione di
potersene andare indisturbato[2].
Il 6 agosto i milanesi videro con i loro occhi e soprattutto iniziarono a
conoscere il “fratello” piemontese, il quale alzò i tacchi e ripartì per il suo
piemonte con armi bagagli e cassaforte di Milano…. ritornarono gli Austriaci.
Ma
si sa la storia non sempre insegna…Non fu tanto lo spirito patriottico ma
quanto l’intrallazzo che fece si che Milano alla fine divenne piemontese,
questo grazie al Vittorio Emanuele II in
combutta con Napoleone III che fu convinto, costui, non per la bontà
dell’ideale ma per le grazie della Contessa di Castiglione ordinata da quel
filone del Cavour di diventarne amante e così anche padrona. Napoleone III,
giunse in Italia nel 1859, vinse grazie ai 120.000 uomini che si era portato
come dote al Savoia, quella che fu definita la battaglia più importante della
guerra austro-piemontese-francese a Magenta, consegnando Milano e i suoi
territori al suo nuovo destino.
Il Consiglio Comunale di Milano, per acclamazione
aderì a nome della Lombardia.
Evviva Milano!!!! ancora una volta decide per
tutti.
La Lombardia diviene possesso del regno di sardegna, alias i piemontesi;
non è che noi siamo diversi da altri, veniamo “annessi” al Regno di Sardegna, volenti o nolenti e sinceramente
sfido chiunque a dire che, a parte la retorica risorgimentale, si sta meglio
con i piemontesi, cambia il padrone ma l’andazzo non cambia.. lo scriveva a
chiare lettere il Cattaneo!
Anzi … la realtà era ben diversa da
come la racconta la vulgata risorgimentale: Milano, allora, poteva considerarsi
fra le tre-quattro metropoli europee davvero moderne. Gli abitanti erano 150
mila, fra cui 500 ingegneri, con tanti ospedali quanti a Parigi e scuole
obbligatorie e gratuite.
I cittadini si lamentavano per le
tasse che ritenevano esose e indicavano l'aquila asburgica bicipite che, per
poter mangiare più voracemente i loro risparmi, aveva due becchi.
In
realtà la gente del Lombardo-Veneto era soggetta a imposte per il 23 per cento
dei redditi, meno
dei francesi che arrivavano al 35 e assai distanziati dagli inglesi che erano
tartassati per il 44[3].
L'upper class (anche se le
generalizzazioni sono sempre un po' imprecise) si distingueva per una
consistente ostilità nei confronti degli austriaci. I borghesi, al contrario,
erano in larga misura favorevoli al governo di Vienna, soprattutto perché erano
loro a essere assunti come impiegati pubblici. Il cosiddetto popolo, invece,
rispetto a questa contesa, doveva essere considerato neutrale, occupato com'era
a lavorare perché il pane non bastava mai. Ma se proprio i proletari avessero
dovuto indicare qualcuno con cui prendersela, avrebbero scartato gli austriaci
per scegliere «i padroni». Quando i più poveri riuscivano a entrare a teatro –
più raramente alla Scala - per assistere a uno spettacolo, approfittavano del
momento degli applausi per sputare dal loggione verso la platea occupata dai
ricchi. I «sciuri» avevano modo di occuparsi di politica solo perché qualcun
altro si spaccava la schiena per mantenerli, senza che dovessero impegnarsi per
tirare a campare[4].
Cosa
sappiamo dei peveranzesi e della loro sensibilità risorgimentale? ebbene
qualcosa sappiamo ovvero un Peveranzese di 28 anni Saporiti Francesco[5],
viene ricercato dalle Autorità Austriache e dichiarato disertore in un primo
tempo allor’quando si pubblicano nel 1849 i nomi di coloro che assenti non
giustificati vengono invitati a presentarsi presso i pubblici uffici per
giustificare tale assenza, poi il nulla, possiamo solo pensare che si di voglia di indossare la divisa non ne avesse molta. L'Austria allora aveva diversi Reggimenti composti da Italiani, che parteciparono alle varie battaglie risorgimentali, e nessuno di loro fu costretto, parteciparono e combatterono con onore in difesa di quella che allora era la loro Patria.
Di
certo è che ai Piemontesi l’unica cosa che interessava era appropriarsi ancora
una volta dei capitali e dei denari del “ricco” lombardo-veneto e con il solito
predatorio sistema mascherato da sogno italiano si preparavano a saccheggiare
le casse milanesi e di coloro che ingenuamente credettero al pifferaio
piemontese.
Ecco alcuni dati sintetici:
1859
Peveranza con 449 abitanti, retta da un consiglio di quindici
membri e da una giunta di due membri, fu inclusa nel mandamento I di Gallarate,
circondario IV di Gallarate, provincia di Milano[6].
1861
Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il comune aveva una
popolazione residente di 459 abitanti [7].
1866 - A questa data il comune veniva amministrato da un
sindaco, da una giunta e da un consiglio[8],
probabilmente gli
ultimi che ebbero modo di gestire il nostro piccolo comune e per i quali è
giusto ricordarli uno per uno, eccone la composizione:
Presidente
e Sindaco Montalbetti Luigi;
Consiglieri:
Saporiti Giuseppe Antonio, Macchi Gio’, Crosta Francesco, Crosta
Francesco fu Stefano, Macchi Angelo,
Gatti Gaetano, Saporiti Antonio, Saporiti Ambrogio,
Saporiti Libero, Crosta Gio’, Crosta Gerolamo, Saporiti
Paolo, Saporiti Ambrogio, Carbonoli? Ing Gio’.
Siamo
alle soglie di quello che diverrà un epocale cambiamento per la nostra terra,
entrare nella sfera perniciosa di Cairate, Ahinoi, serva Peveranza!
Sia ben
chiaro nessuno si lamenta del fatto che un piccolo comune fosse così incamerato
da un comune più grande, ci stava e ci sta tutt’ora che avvengano queste
aggregazioni, ma qui in questo caso il buon senso e la realtà furono lasciate
da parte per andare a costruire un artefatto nucleo che poco aveva da
condividere, sia per mentalità sia per attitudine.
Il
confine invisibile che aveva separato le terre attraverso il limes delle Pievi
di Gallarate e Olgiate aveva una sua natura sociale e sociologica, religiosa e
civile consolidata nei secoli; ma il
piemontese non ebbe problemi a separare quello che il tempo aveva costruito,
creando così le premesse per anni di afflizioni e di prostrazioni ogni
qualvolta ci si doveva affacciare all’uscio del Cairatese che non perdeva
occasione per far capire che sudditi e non pari si era.
Quel Cairate ed Uniti
scomparve velocemente dai documenti lasciando sempre più come dimostreremo con
i fatti la nostra comunità buon ultima in ogni suo bisogno.
[1] Lorenzo del Boca,
Indietro savoia, storia controcorrente del risorgimento. Edizioni Piemme
2004,Pg 28
[3] Lorenzo del Boca,
Op. Cit. ,Pg 25
[4] Lorenzo del Boca,
op. cit. pg 26
[5]
Raccolta di
Leggi, notificazioni, avvisi, ecc. emanati nel regno Lombardo-Veneto dal 22
marzo 1848, Compilati da P. Cecchetti, Tipografia Andreola, Venezia, 1853. p.
570.
[8] Civita Istituzioni Lombardia
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