Capitolo XXIII
I
COGNOMI di PEVERANZA
La storia ci insegna che in Italia, a partire dal XII secolo, per
l’identificazione delle persone si utilizza un nome aggiunto che in alcuni casi
è nome di famiglia o cognome, cioè collettivo e trasmesso ereditariamente; tale
procedimento si stabilizza nell’ultima età medioevale, tra il XIII e il XIV
secolo, e si fissa definitivamente tra la fine del Cinquecento e il Settecento,
con la norma, emanata dal Concilio di Trento (1563), di tenere regolarmente dei
registri di battesimo[1].
Quello che è certo è che appaiono i primi cognomi che non hanno nessuna
continuità con quelli dei secoli XIII e XIV, mentre i De Peveranzo sembra si trasferiscano dal luogo natio andando verso
Gallarate.
Da questo momento avverrà qualcosa di incredibilmente illogico per noi
oggi, la successione di nomi e cognomi di famiglia che cambierà a seconda di
quanto avrà capito, interpretato, sufficientemente ascoltato, il signor parroco
durante la stesura dell’atto sia esso stato di battesimo o di Matrimonio.
Sembra tutto paradossale ma è quanto si può leggere negli atti che si
succedono, collegando semplicemente le famiglie che vengono elencate nei
registri e che nel corso del tempo si sposano, hanno figli, muoiono; l’incrocio
di questi dati e di queste informazioni ci mostra un percorso di modifica che
perdura per lungo tempo, stratificando e modificando per sempre cognomi che
originariamente erano diversi. Si dirà niente di nuovo sotto il sole, verissimo, ma di certo
testimonianza di un mutamento onomastico originale e casuale. Si direbbe che a
seconda dell’umore, dell’età o della voglia del signor Curato uno poteva entrare
con un cognome e uscire dopo la registrazione con un altro, visto che Scripta Manent e beata ignoranza regna,
cioè la tradizione orale viene soppiantata dalla certezza dello scritto, ecco
quindi il risultato. Per generazioni era il suono che si condivideva che faceva
si che l’asse ereditario fosse riconoscibile e riconducibile ad un ceppo
famigliare, ora con la traduzione scritta si dava a terzi il compito di
solidificare tale sistema e di trasformare finalmente il parlato, in scritto,
con i risultati di cui sopra.
Come descrivono molti dizionari di storia, la Cancelleria Ecclesiastica
sancì il ruolo dei cognomi e la loro attivazione; i parroci, unici amanuensi
presenti nelle lande desolate del territorio, determinarono il destino di tutte
le persone censite, Vuoi trasformando il nome del padre nel cognome del figlio
(es. Di Guido), vuoi utilizzando particolarità fisiche o difetti che la
comunità locale indicava sotto il profilo orale; sappiamo oggi che i tre grandi
filoni di derivazione dei cognomi sono da nomi propri di persona, da nomi
comuni o generici o propri di luoghi, da soprannomi.
Il Passaggio tra il cognome o nome di famiglia subisce una variazione
importante tra i secoli XIV e XVI; E’ evidente la difficoltà di trovare l’origine del cognome, anche quando è palese
(es. Gallo), la motivazione rimane congetturale, perché risultano impossibili
da ricostruire le circostanze che hanno prodotto tale trasformazione. Quando è
avvenuto il passaggio dal cognome come identificativo del luogo di provenienza
al cognome come identificativo della famiglia?
Ci sono 200 anni di Vuoto documentale e questo ci impedisce di dare una
risposta. Ci proviamo con la lettura delle carte in nostro possesso cercando
così di costruire una mappa dei primi abitanti distinti con cognome “moderno”.
La prima traccia di cognomi
di residente in Peveranza, la troviamo quindi negli atti notarili
del 1450
Giovanni e Francesco Crosta figli del fu Ambrogino
nel 1495
Gasparinus de Crostis fq. Petroli
Balzarinus de Crostis fq. Petroli
Andrea de Crostis
Johannes sartor
de Crostis
Inoltre sempre in questi atti appare più chiaramente il
rapporto di parentela fra alcuni di essi: Gasparinus,
Balzarinus et Ambrosius fratres de Crostis.
e nel 1513 quattro ceppi famigliari:
Petrinus de Boretis;
Donatus de Saporitis;
Fernando de Tognis;
Gabriel de Crostis;
L’atto del 1548[2] conferma l’asse ereditario di alcuni di essi:
Pietro
Saporiti figlio del fu Donato,
Battista
Saporiti figlio del fu Bernardino,
Guido
Boretti figlio del fu Pietro,
Battista
Macchi figlio di Bernardino,
Bernardino
Crosta figlio del fu Battista,
Paolino
Saporiti soprannominato “El monella” figlio del fu Donato.
L’investitura del 1556[3] ci consegna e conferma ancora dei cognomi:
il parroco Johanne’
de Crustis;
Guidonem de Borrity figlio del fu Pietro;
Francescum de
Crusty.
1560, il
censimento dei beni della Chiesa, che scritto in volgare denota una ruvidezza
d’interpretazione ci consegna:
Ciecho (Francesco) Di Crosta,
Ambrosio Di Crosti.
Qui si distinguono già due rami della famiglia dei Crosta, si presume
parenti ma distinti dalla vocale finale che delinea a questo punto i ceppi
familiari.
1563/5 I documenti principianti questa nuova condizione per
noi dunque sono il Libro dei Battesimi e dei Matrimoni e gli Atti Notarili, che
come descritto precedentemente iniziano a delineare con precisione i gruppi
famigliari e i cognomi.
1570, Ci apre un ulteriore squarcio la visita Pastorale di
Carlo Borromeo, dove oltre ad alcuni nomi appaiono per la prima volta i dati di
un elementare censimento della popolazione;
1574
Lo Stato delle Anime come detto una finestra sul passato!
1597
Un ulteriore possibilità di confrontare i dati e informazioni desunte dai
vari documenti e mettere così nero su bianco alcune importanti informazioni
sulle famiglie residenti!
Dopo una fase in cui il cognome accertato era unicamente De Peveranza,
dal 1400 in avanti i nuclei originari stanziati e residenti con continuità,
vengono composti da Famiglie con il cognome Crosti/Crosta, Rangoniti/Saporiti
e Borriti/Di Guido che andranno a
formare la base di discendenze che porteranno presso Peveranza legami parentali
e quindi nuove famiglie che tramite i matrimoni delle molte figlie andavano
così a comporre il quadro anagrafico del futuro.
Nel modificarsi di nomi di persona e cognomi giocò
un ruolo determinante il Parroco, estensore dei documenti e dei libri
dei battesimi, dei morti e dei matrimoni; Non certo per capriccio (così almeno
si spera) ma per svariati motivi; nel corso dei decenni alcuni nomi e
soprattutto alcuni cognomi furono «mutati» cioè trasformati e modificati. La
fretta di scrivere o lo scrivere male, portarono a modifiche sostanziali
trasformando molti cognomi e nomi nelle forme che noi oggi conosciamo e che si
legano alle famiglie qui residenti. Il Parroco che succedeva al suo
predecessore, non controllava il passato e alla prima imprecisione cambiava
quello che altri per decine di anni avevano sempre scritto in quel modo. La
Malattia e la veneranda età di alcuni portò a stesure di battesimi o morti
talmente sgrammaticate da far perdere ogni traccia del vero nome o cognome
della persona che veniva indicata; questa non sapendo ne leggere ne scrivere,
continuava a pronunciare il nome o il cognome nello stesso modo ma inesorabilmente
la carta riportava un’altra informazione, un altro cognome; la stessa persona
si vedeva chiamata poi nei secoli successivi con il cognome modificato, ad
esempio, dal singolare maschile al plurale.
In particolare:
il Curato Giò
Battista Montalbetti dal 1616 al 1708 scrisse atti con grafia
discutibile e soprattutto in tarda età in alcuni casi indecifrabile,
trasformando nomi e cognomi, riscrivendoli e interpretandoli.
Il Curato Francesco
Gallo succeduto al Montalbetti, soprattutto in tarda età (muore a 81
anni) scrive in modo indecifrabile molti atti.
Nel 1770 il Curato Cattaneo
ad esempio trasformò definitivamente Montalbetto in Montalbetti.
[1]
Enc. Treccani.it/enciclopedia/tag/cognomi/
[2] Giovanni Pietro Mangiarini figlio del fu Ambrogio, compare
solo in questo atto e non comparirà più, come il Boladelo, è qui solo per un
breve periodo
[3] APPe, Cartella
10 fascicolo 2.
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